Avere una propria opinione sulle cose nella nostra cultura è di grande importanza, perché ci consente di essere liberi nelle scelte. Ma come si fa a crearsi un’opinione?
Ci sono due alternative: o si fa un’esperienza diretta delle cose – e ci si fa un’idea di conseguenza – oppure ci si affida all’esperienza diretta di altri e ci si costruisce un’opinione “di seconda mano”.
Attualmente, il mondo è troppo complesso e ricco per consentirci di fare esperienza diretta di tutto: sempre più spesso, quindi, siamo costretti a fidarci delle opinioni degli altri, sperando che gli altri siano sufficientemente onesti, intelligenti e sensibili.
Di solito, per costruirci un’opinione chiediamo a qualcuno di cui abbiamo stima, qualcuno le cui opinioni abbiamo già verificato più di una volta in passato, qualcuno a cui riconosciamo competenza e autorità in un determinato settore. Quel “qualcuno” è più comunemente noto come “opinion leader” e incidentalmente può essere il bersaglio di svariate strategie di marketing.
E quando non conosciamo nessun “esperto”, come ci comportiamo? Elementare Watson: cerchiamo su internet.
Ma chi ci garantisce che l’informazione che troviamo su internet sia una buona informazione, un’informazione corretta?
La risposta è di una semplicità avvilente: nessuno. Non ce lo garantisce nessuno.
Anzi, pare proprio che ultimamente alcune aziende siano piuttosto impegnate a ritoccare e sistemare tutti quegli elementi che concorrono alla creazione di una reputazione, ovvero di una opinione: leggete qui.
Temo che questo ragionamento possa essere esteso alla maggior parte delle nostre attuali fonti di informazione. Che fare, quindi?
Alla peggio, possiamo aderire alle teorie cospirazioniste secondo cui la realtà non è quasi mai quel che sembra, oppure possiamo cercare di acuire la nostra sensibilità e di incrociare sempre più fonti diverse, in modo da diminuire la possibilità di errore. E che Dio ce la mandi buona.